Per l’acquisto di una casa è meglio optare per una ristrutturazione oppure per una nuova costruzione? È questo il dilemma che affligge molte persone in procinto di investire i propri risparmi in un immobile che diventerà, presumibilmente, la residenza stabile e definitiva. Entrambe le situazioni hanno i loro punti di forza e di debolezza, ma ciò che spesso porta ad optare per i lavori di manutenzione straordinaria è la possibilità di strutturare gli ambienti domestici secondo i propri desideri. La stessa cosa potrebbe avvenire solo nel caso in cui si avesse la possibilità di farsi costruire casa lavorando a stretto contatto con l’architetto responsabile del progetto. Si sarebbe liberi di scegliere quali open space creare, se avere delle nicchie, delle scale, quanto spazio lasciare al terrazzo e così via. Sarebbe davvero l’ideale, ma prima di avviare dei lavori simili bisogna confrontarsi con l’indice di edificabilità territoriale.
Che cosa s’intende per indice di edificabilità
A livello legislativo, quando si parla di indice di edificabilità di un territorio s’intende la porzione dello stesso che può essere soggetto a costruzioni ad uso privato. Non è possibile, infatti, edificare in maniera indiscriminata in città: si provocherebbe la rovina degli ecosistemi esistenti e si creerebbe un grande danno alla natura.
Vista la sensibilità moderna al tema ecologico questo discorso non ci sorprende, ma in realtà le norme che regolano l’edificabilità di un terreno risalgono agli anni Sessanta. È quello il periodo del boom economico e della crescita dell’industria edilizia, a seguito del bisogno di riparare e ricostruire le case portate via dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Attraverso la legge n.1150 del 1942, la n.765 del 1967 e il decreto ministeriale n.1444 del 1968 è stato regolamentato il processo di edificazione del paese specificando quali zone potevano essere oggetto di costruzioni, di che tipo di immobili si dovesse trattare e anche quali erano i permessi necessari per procedere con le costruzioni. Tra i vari articoli e commi, è possibile leggere anche la definizione di indice di edificabilità e come calcolarlo.
Indice di edificabilità territoriale e indice di edificabilità fondiario: quali sono le differenze?
Occorre una precisazione: sui testi di legge è possibile trovare due concetti che non rappresentano la stessa cosa. Quando si parla di edificabilità territoriale, infatti, s’intende la possibilità di urbanizzare un luogo inserendovi non solo costruzioni residenziali, ma anche infrastrutture pubbliche, dalle vie di comunicazione agli edifici in cui vengono offerti servizi alla popolazione. L’indice di edificabilità fondiario, invece, si riferisce al lotto privato che può essere edificato.
Quali territori sono interessati dall’indice di edificabilità
Il decreto ministeriale 1444 del 1968 ha suddiviso il territorio italiano in varie zone, classificandole con una lettera dell’alfabeto, dalla A alla F. L’appartenenza a una categoria piuttosto che a un altra dipendeva dalle caratteristiche del terreno e dalla presenza di altre costruzioni. L’inquadramento all’interno di una fascia influisce sull’indice di edificabilità.
Abbiamo, quindi:
- la zona A, ovvero il centro storico di una città. Al suo interno si trovano edifici di valore storico e culturale e, di conseguenza, le nuove costruzioni sono fortemente scoraggiate e limitate;
- la zona B, ovvero la parte residenziale che circonda il centro storico di una città o di un paese. È un’area in cui sono già presenti numerosi edifici, ma è comunque possibile trovare del terreno da edificare;
- la zona C rappresenta un’area periferica destinata, però, alle nuove costruzioni. Qui, l’indice di edificabilità è molto alto;
- la zona D è l’area industriale di una città. Qui l’indice di edificabilità fondiario è molto basso poiché gli edifici di nuova costruzione sono legati ad attività economiche e produttive;
- la zona E è destinata all’uso agricolo e può essere munita di nuove costruzioni ad uso abitativo, ma in minima parte;
- la zona F è un’area del territorio destinata agli impianti e alle attrezzature di interesse generale. In questa zona l’indice di edificabilità fondiario è praticamente inesistente.
Come calcolare l’indice di edificabilità
L’indice di edificabilità è un rapporto che si esprime tra i metri cubi o metri quadri edificabili e i metri quadri del territorio totale. Di conseguenza, nei documenti ufficiali, troveremo delle cifre espresse all’interno di questa formula: n mc/mq (“n” rappresenta il valore numerico dell’indice). Nelle zone B e C, ad esempio, l’indice di edificabilità può arrivare anche a 7 mc/mq.
L’indice di edificabilità fondiaria, invece, fa riferimento a lotti privati destinati solo a costruzioni private, non a interventi di tipo urbanistico. Il rapporto è praticamente lo stesso, ma bisogna tener conto della superficie edificabile, non di tutto il terreno della zona. Sarà opportuno anche tener presente l’altezza massima prevista dalle normative edilizie locali.
Terreno edificabile o ristrutturazione?
Le nuove costruzioni devono vedersela con iter burocratici complessi e delicati. È vero che si ha la possibilità di tirar su una casa uguale a quella dei propri sogni, ma i costi saranno molti e i tempi lunghi. Inoltre, non è detto che vi siano le condizioni per dare avvio a questa tipologia di lavori.
La ristrutturazione può essere in questi casi un ripiego, ma non è affatto male come soluzione. Dal punto di vista dei costi è possibile ammortizzare le spese con il bonus ristrutturazione oppure con il superbonus 90% mentre dal punto di vista della progettazione si ha la possibilità di realizzare quello che si vuole (metri quadri permettendo).
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